31 mag 2015

SOFIA DOMINO

Che cosa dire di me? Ci sono tante cose da dire su ogni persona, e per quanto mi riguarda, cercherò di racchiudere il tutto in poco tempo… Allora, mi chiamo Sofia e sono nata nel 1987, sono italiana e, nonostante adori viaggiare, amo il mio Paese, specialmente il clima e il cibo. La mia più grande passione è la scrittura, amo creare, creare e creare. Ho numerosi interessi, uno di questi è la lettura, perché penso che da ogni libro (bello o brutto) possiamo imparare qualcosa. Come accennato, adoro viaggiare, spostarmi e tuffarmi in nuove avventure. Ho vissuto per un anno a Londra, ma sono anche stata in Spagna, in Francia e negli Stati Uniti. Ci sono ancora moltissimi posti che voglio visitare, per diverse ragioni.
Adoro anche le cose più semplici, ma non per questo meno interessanti. Mi piace guardare il tramonto che incendia il cielo, seguire il volo di un uccello o ammirare le onde del mare… e, naturalmente, adoro anche trascorrere del tempo con le persone che amo.
Adesso passiamo alla mia passione: la scrittura. Scrivo da quando ho imparato a impugnare una penna, prima sui quaderni scolastici, poi con le macchine per scrivere e, infine, con il computer. Era sempre una grande gioia, per me, andare a scuola e sapere che quella determinata mattina avrei dovuto scrivere un tema. Avevo sempre così tante cose da dire!
La mia passione è maturata con il corso degli anni ma, sfortunatamente, durante l’adolescenza l’ho messa in secondo piano. Volevo sperimentare altre esperienze ma, alla fine, sono di nuova caduta nella mia vera passione. Adesso, non immagino neanche una vita senza la scrittura.
Siedo varie ore davanti al computer e scrivo con il cuore. Spesso, trascorro anche il tempo a fare appunti o a cercare spunti per i prossimi romanzi. Ho una fantasia accesa e questo è ottimo, ma significa anche che delle volte la mia immaginazione corre troppo e nel giro di pochi giorni ho cento idee per la testa. Con il tempo, valuto le mie idee e poi mi dedico a quelle in cui credo maggiormente.
Quest’anno, ho fatto un gran passo avanti, perché ho deciso di pubblicare il mio primo romanzo intitolato “Quando dal cielo cadevano le stelle”. Non è il primo romanzo che ho scritto, ma è il primo che ho deciso di far uscire.
Ho sempre voluto raccontare la storia di tutte quelle persone che, senza una ragione, sono state rinchiuse nei campi di concentramento, che si sono viste portare via tutto, senza nessuna spiegazione logica. Dopo aver raccolto numerose informazioni e dopo aver ascoltato e letto altrettante testimonianze, ho steso la trama di “Quando dal cielo cadevano le stelle”. La protagonista è Lia Urovitz, una ragazzina di tredici anni piena di sogni e di passioni, che vuole vivere, crescere, innamorarsi, realizzarsi… Lia però è ebrea, e vede la sua vita cambiare con lo scoppio delle leggi razziali e con l’arrivo del nazismo.
Siamo nel 1943, e durante il corso del romanzo ho cercato di inserire le varie emozioni che hanno definito la vita di troppi ebrei italiani durante la Seconda Guerra Mondiale. Paura. Dolore. Speranza. Speranza di vivere, di essere liberi, di avere le stesse opportunità e gli stessi diritti degli altri.
Perché ho scritto questo libro? So che molti definiscono il tema dell’Olocausto troppo deprimente, ma non credo che questo sia un motivo per voltare le spalle a una verità del nostro passato. Il nazismo ha cambiato la vita di numerosi ebrei, ha obbligato persone innocenti a nascondersi, ha privato ai bambini di crescere, di ridere, di sentirsi liberi… troppi giocattoli sono stati ritrovati ad Auschwitz. Giocattoli di bambini che hanno perso tutto soltanto perché ebrei. Secondo me, dietro al filo spinato dei campi di concentramento, però c’era molto di più. Tra le violenze, gli obblighi, le ore di lavoro, gli esperimenti, la fame e le camere a gas, sicuramente persone come Lia continuavano a sperare. A sognare.
Tornando alla domanda, perché ho scritto questo libro, la risposta è semplice; perché nessuno dimentichi e perché tali atrocità non si ripetano più. Non sono riuscita a rimanere indifferente davanti a tutte queste ingiustizie e, tramite Lia, ho raccontato la storia di una famiglia italiana di Roma, con i suoi problemi e le sue caratteristiche, che d’improvviso si ritrova costretta a nascondersi in una cantina, per poi essere catturata dai nazisti ed essere internata ad Auschwitz, solo perché ebrea. Che senso ha tutto questo? Ai miei occhi non ha nessun senso. Nessun individuo innocente dovrebbe subire tali ingiustizie e nessuno dovrebbe essere privato della libertà e dei sogni. Ho scritto questo libro perché nessuno, né adesso né mai, sia più costretto a cucire sulle proprie vesti una stella soltanto perché ebreo. Perché nessuno sia più costretto a privarsi dell’identità e a diventare soltanto un numero.
Ci tengo anche a dire che in questo periodo sono molto impegnata con la stesura di un altro romanzo, mentre a giugno pubblicherò il mio secondo libro. È un altro romanzo cui tengo molto, che racconta un’altra verità da non dimenticare, una verità dei giorni nostri. Il romanzo è ambientato in India, il Paese peggiore in cui nascere donna. Tratta temi delicati ma forti al tempo stesso. La violenza sulle donne, i matrimoni combinati e si sofferma su un legame che s’instaura tra due ragazze che, nel corso del romanzo, diventano amiche, nonostante le loro diversità.
Questa in poche parole sono io. So che scriverò fino a quando avrò occasione di farlo, perché scrivere per me è fantastico, è magia. È dare una voce a chi non ne ha una, è raccontare. È imparare e crescere. È sognare e vivere al tempo stesso.
27 OTTOBRE 2014
Lulu.com
pagine: 496
prezzo: 1.99 (ebook)
Lia ha tredici anni. È una ragazzina italiana piena di sogni e di allegria, con l’unica colpa di essere ebrea durante la Seconda Guerra Mondiale. Dallo scoppio delle leggi razziali la sua vita cambia, e con la sua famiglia è costretta a rifugiarsi in numerosi nascondigli, a sparire dal mondo. Da quel mondo di cui vuole fare disperatamente parte. Passano gli anni, conditi da giornate piene di vicende, di primi amori, di paure e di speranze, come quella più grande, la speranza che presto la guerra finirà. Ma nessuno ha preparato Lia alla rabbia dei nazisti. Il 16 ottobre 1943, la comunità ebraica del ghetto di Roma viene rastrellata dalla Gestapo e i nazisti le ricorderanno che una ragazzina ebrea non ha il diritto di sognare, di sperare, di amare. Di vivere. Lia sarà deportata ad Auschwitz con la sua famiglia, e da quel giorno avrà inizio il suo incubo. Terrore, lavoro, malattie, camere a gas, morti. E determinazione. Quella che Lia non vuole abbandonare. Quella determinazione che vorrà usare per gridare al mondo di non dimenticare. Quella determinazione che brillerà nei suoi occhi quando il freddo sarà troppo pungente, quando la fame sarà lancinante, quando la morte sarà troppo vicina e quando sarà deportata in altri campi di concentramento.
Quella determinazione che le farà amare la vita, e che le ricorderà che anche le ragazzine ebree hanno il diritto di sognare. Perché non esistano mai più le casacche a righe, perché nessuno sia più costretto a vivere in base a un numero tatuato su un braccio o in base a una stella cucita sulla veste.
Perché dal cielo non cadano più le stelle.

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