Un’intervista virtuale nel deserto del Barakà
“Ben arrivata, Lady Aileen!”
La voce risuonò forte nel buio della notte che era calata all’improvviso un’ora prima, mentre la piccola carovana si trovava ancora nel Wadi Barakà, un fiume in secca per nove mesi l’anno e nove anni su dieci anche nei restanti tre, un fiume strano, che nasce fra i contrafforti settentrionali dell’Hamasien a pochi chilometri da l’Asmara la capitale dell’Eritrea, ma non raggiungerà mai il mare, perdendosi fra le sabbie infuocate del Deserto della Nubia dopo essere entrato nel Sudan. La giovane giornalista italiana si guardò attorno, fino a quel momento era stata troppo impegnata a reggersi in equilibrio precario sulla gobba della bestiaccia che le aveva dato il rais, il capo carovana quando si era trovata all’appuntamento che le era stato dato nella città di Keren. Finalmente vide la grande tenda beduina montata in uno spiazzo pianeggiante accanto ad un recinto e a un antico pozzo con una noria a bilanciere. Di fronte a quella, un uomo vestito come un antico cavaliere arabo se ne stava seduto vicino al fuoco e non aveva l’aria di volersi alzare a riceverla. Uno dei cammellieri fece schioccare la lingua e l’animale a quell’ordine s’inginocchiò a terra rischiando di farla volare di sotto, ma Aileen riuscì a tenersi alla crocetta e, appena le sembrò che i movimenti fossero cessati, si lasciò scivolare a terra. Le sembrava che il terreno continuasse a oscillare, come quando si scende da una nave dopo una lunga traversata col mare mosso.
“Adesso ho finalmente capito perché le chiamano navi del deserto! Sul cammello si rischia il mal di mare.”
“Quello non è un cammello, ma un magnifico mehari di razza, un dromedario da sella!”
Quel tipo continuava a prenderla in giro senza fare un accenno di volerla ricevere e fare gli onori di casa. Decise di avvicinarsi lei e gli si piazzò di fronte con aria di sfida.
“Quando mi ha invitato a raggiungerla negli stessi luoghi dove ha ambientato le sue storie, non mi aspettavo un viaggio così avventuroso, pensavo mi avrebbe ricevuto in un hotel o in una villa di l’Asmara. Invece ho dovuto affrontare quattro ore di corriera dalla capitale a Keren e un’intera giornata a dorso di quel coso puzzolente, in compagnia di gente che non capiva una parola di quello che dicevo. Anzi, mi dovrebbe spiegare come hanno fatto a sapere che ero io chi dovevano accompagnare da voi!”
“Ti sono sempre stati vicini dal momento in cui sei scesa dall’aereo, e comprendono tutti l’Italiano: sono gli ultimi ascari di mio padre! O meglio, i loro figli e nipoti. Gli anni passano per tutti.”
I quattro o cinque eritrei che fino a quel momento avevano fatto finta di non sapere una parola d’Italiano, scoppiarono a ridere e, mentre il personaggio finalmente si alzava in piedi per salutarla, avvicinarono al fuoco da campo una sella e la coprirono con dei tappeti perché fosse più comoda.
“Mi devi scusare per questa soluzione melodrammatica, ma sei stata tu a chiedermi di farti conoscere il mondo dei miei romanzi. Quando vuoi, possiamo cominciare l’intervista e dammi del “tu”, come eri abituata a fare in Internet; intanto i miei uomini sistemeranno i tuoi bagagli nella tenda e prepareranno qualcosa da bere; cosa preferisci: tè alla menta o caffè?”
Lady Aileen la prese sportivamente, da quella donna di spirito qual era. Imitò il modo di sedersi dell’altro, non sul culmine della sella, ma subito davanti a questa, usandola come spalliera per appoggiarci il braccio sinistro, come avrebbe fatto su un triclinio nell’antica Roma. La posizione non era scomoda, tutt’altro, e l’intera situazione cominciava a intrigarla, trasse fuori dalla borsa il suo registratore, il taccuino e la penna.
“Spero che bastino le domande che ho già preparato, perché poi è brutto svelare tutto di uno scrittore. Agli inizi deve essere avvolto dal mistero...”
“Sono d’accordo, un’aura di mistero può essere una buona pubblicità per un romanziere. Allora forza con la prima domanda.”
“Da quanto tempo scrivi?”
“Potrei dire da una vita: il mio primo parto letterario fu pubblicato che avevo quattordici anni, si trattava di un articolo critico su un modello di aereo prodotto da una ditta americana; uscì su una rivista specializzata che adesso non esiste più. Ho poi proseguito con articoli tecnici riguardanti sia il modellismo militare che le armi vere. Come romanziere, sono ai miei primi due romanzi, anche se per esigenze di stampa ognuno di essi è diventato una trilogia. Mi ci sono voluti circa tre anni per scriverli e, prima e durante, almeno altri due di ricerche storiografiche.”
“Che tipo di storie scrivi?”
“Li definisco: romanzi d’avventura ucronici. Romanzi d’avventura perché vi ho infilato un po’ di tutto: spionaggio, ambienti esotici, battaglie e duelli; conditi con una storia d’amore e tanti riferimenti a personaggi reali. Ucronici, perché per ambientarli sia dal punto di vista storico che come luoghi, ho preferito inventarmi una deviazione temporale rispetto alla Storia come la conosciamo noi; così nessuno potrà mai prenderli per cronaca.
“Quando hai pubblicato il tuo primo libro?”
“Circa trent’anni fa. Era un manuale sui fucili militari inglesi della Prima e della Seconda Guerra Mondiale. Non è stato certo un successo commerciale e ormai non esiste più nemmeno la casa editrice.”
“Quanti ne hai pubblicati in totale?”
“Meglio se ci limitiamo ai romanzi. Sei libri riuniti in due trilogie e che fanno parte della medesima saga.”
“Qual è la tua esperienza in merito alla pubblicazione?”
“Abbastanza positiva; i volumi sono ben stampati e anche graficamente si presentano bene. Mi è dispiaciuto solo non aver potuto allegare le tavole a colori che avevo preparato a corredo – avrebbero fatto salire troppo il prezzo di copertina. Vorrà dire che, chi sarà interessato a vederle, potrà richiedermele tramite il mio profilo di Libero, gliele invierò via e-mail.”
“Sei soddisfatto dal trattamento che viene riservato agli scrittori in erba?”
“Le grandi case editrici pubblicano solo autori che possano garantire fin da subito un ottimo ritorno finanziario. I nuovi scrittori sono quindi scelti fra chi, per i motivi più vari, si è fatto una notorietà; che poi sappia anche scrivere, è un fattore assolutamente marginale. Gli esempi potrebbero essere fin troppi, preferisco astenermi dal fare nomi, anch’io spero di poter uscire con i miei romanzi presso un editore importante e mi farei troppi nemici.
“Che ne pensi dei concorsi letterari?”
“I concorsi per nuovi autori sono in genere tentativi di truffa verso questi ultimi, illudendoli di poter pubblicare le loro opere a fronte di forti esborsi in denaro. I grandi premi letterari celebrati su giornali e televisioni, invece sono truffe verso i lettori, con vincitori prestabiliti e libri che finiranno solo a far da tappezzeria nei salotti, per far vedere che in quella casa si legge impegnato, ma è tanto se l’acquirente darà una scorsa alla terza di copertina.”
“Cosa ti ha ispirato per la stesura delle tue storie?”
“Dal punto di vista dello stile narrativo, mi sono rifatto principalmente ad autori anglosassoni come Wilbur Smith e Ken Follett. Per le ambientazioni e le trame, ritengo di essere stato originale; per gli usi e costumi dei popoli che descrivo, mi sono basato su molte fonti, letterarie e no, che ho avuto modo di studiare negli anni.”
“Quando scrivi?”
“Non ho momenti preordinati. In genere di notte, o quando ne ho voglia. La mia produzione giornaliera è altrettanto disordinata: può variare da poche righe a trenta e più pagine A4 in corpo dodici.”
“Chi sono i tuoi scrittori preferiti?”
“Oltre a quelli che ho già citato e rimanendo nell’ambito della narrativa, aggiungerei: Tom Clancy, Valerio Massimo Manfredi, Marco Buticchi e tantissimi altri meno conosciuti, solo per limitarsi a quelli ancora in attività. Se dovessi elencare anche quelli del passato, questa intervista diventerebbe il catalogo per autori di una media biblioteca.”
“Hai intenzione di spaziare in vari generi?”
“Non mi dispiacerebbe. Quando avrò terminato la terza avventura de “I Leoni del Medebai”, vorrei affrontare un romanzo storico vero e proprio e da tempo giace nell’hard disk dei miei PC un abbozzo di romanzo fantasy. In entrambi i casi sto pensando ad ambientazioni che nessuno ha mai usato prima d’ora.”
“Che cosa sogni per i tuoi libri?”
“Il successo commerciale ovviamente! Guadagnare un mucchio di soldi penso sia nelle aspirazioni di chiunque. Ma la cosa che mi piacerebbe di più sentirmi dire dai miei lettori è: non mi sono annoiato a leggerlo. Più ancora di: mi è piaciuto.”
“Che consiglio daresti a chi come te vuole diventare scrittore?”
“Di leggere moltissimo prima di impugnare la penna o mettersi alla tastiera del proprio PC, soprattutto del genere che piacerebbe scrivere; non tanto per imitarne lo stile o ispirarsi per trame e situazioni, semmai proprio per evitare ripetizioni; ma anche per assorbire quella capacità di bilanciare il ritmo del racconto, evitare pause troppo lunghe e inserire sempre nuovi elementi che possano colpire la fantasia del lettore. Mi piace dire che amo scrivere i romanzi che vorrei leggere.”
“Mentre rispondevi a queste domande che avevamo stabilito, me ne sono venute in mente altre che vorrei aggiungere, soprattutto dopo aver finito di leggere anche la seconda trilogia, ma devi avere tu l'ultima parola se accetti o meno di rispondere.”
“Fammele pure, posso sempre rifiutarmi di rispondere a qualcuna.”
“A chi ti sei ispirato per i due protagonisti?”
“A nessuno in particolare. Capivo che dovevo mettere una coppia più che un singolo come protagonista, per rendere più attraente l’intera vicenda. Ma Miriam è almeno in parte ricalcata su una giovane donna abissina realmente esistita: la compagna del tenente Amedeo Guillet, che divise con lui le incredibili, ma realmente accadute, avventure del Cummùntar Shaitan.”
“C'è un personaggio che hai descritto come se fossi tu?”
“In ognuno dei miei personaggi c’è un pizzico di me, anche nei cattivi. Ma mi sono divertito a inserire in entrambe le trilogie, un personaggio secondario che mi somiglia più degli altri, non ti svelerò quali sono perché rovinerei il divertimento di cercarlo agli altri lettori. Probabilmente ognuno ne indicherebbe uno diverso, a seconda di come s’immagina che io sia.”
“Perché hai scelto proprio il periodo del dopoguerra italiano?”
“Un dopoguerra che però non è quello che si legge sui libri di storia. Ho scelto i primi anni ’50 proprio perché è un periodo storico trascurato dalla gran parte degli scrittori di avventure, che in genere preferiscono altre epoche più lontane, oppure ambientano le loro storie nel presente.”
“Se il tuo romanzo potesse diventare un film quali attori sceglieresti per i due protagonisti? E perché?”
“I miei gusti cinematografici si volgono soprattutto verso i classici di Hollywood, ma se proprio devo fare due nomi, allora scelgo due attori di scuola italiana, ma quando avevano l’età dei miei protagonisti; a molti potrà sembrare strano ma il tenente Vallesi lo vedo con l’aspetto di un giovanissimo Terence Hill e Miriam per me ha le fattezze di Zeudi Araya, Originaria proprio di l’Asmara.”
“Qual è la domanda che non ti ho fatto ma che avresti voluto? Compresa la risposta!”
“Questa me l’aspettavo, ma è sempre la più difficile alla quale rispondere. Vediamo un poco… Hai usato anche esperienze personali come spunto per costruire le avventure dei tuoi personaggi? Ho senza dubbio usato le mie conoscenze tecniche per le armi e le tecnologie usate; in più ho potuto contare sui tanti aneddoti raccontatimi da mio padre che, fra il 1935 e il ’41, fu ufficiale nel Regio Esercito Coloniale in Eritrea ed Etiopia proprio col ruolo di Comandante di Bande Ascari. È lui che mi ha ispirato il personaggio del Cummàndar Diabilos.
“Ho notato le descrizioni particolareggiate delle armi e degli equipaggiamenti militari, ma non pensi che a volte possano appesantire la narrazione nonostante siano interessanti?”
“Sì, c’è questo pericolo, ma spero che i lettori non interessati ai lati tecnici me le perdoneranno. La mia è stata una reazione ai troppi errori che costellano libri di scrittori anche famosi quando affrontano la descrizione di armi e veicoli militari, con calibri sbagliati o peggio di assoluta fantasia. Per non parlare della conversione fra pollici e millimetri che viene fatta dai traduttori e spesso dà origine a svarioni comici, con pistole che sparerebbero proiettili più adatti all’artiglieria di una corazzata, o caricatori inesauribili!”
“La nostra intervista è finita, ma mi resta una curiosità: perché hai scelto proprio questo posto per ambientarla?”
Di là dal piccolo cerchio illuminato dalle ultime fiamme del fuoco da campo, regnava la notte con i suoi suoni misteriosi. Anche gli ascari si erano seduti ad ascoltare la loro conversazione, come fosse una delle tante saghe che si tramandavano oralmente in simili circostanze.
“Perché questa è l’Africa, la terra ancestrale dell’intera umanità. Solo qui, lontano dalle città e dal progresso caotico della nostra civiltà, l’uomo può comprendere di far parte dell’intero Creato. Se non credi alle mie parole, allora guarda in alto e crederai ai tuoi occhi!”
In alto il cielo era come un nero velluto cosparso di luminosissimi diamanti, la Via Lattea attraversava l’intera volta come un immenso fiume dalla corrente impercettibile. Lì Dio era più vicino.
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